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L’area compresa tra Ivrea e Biella dal punto di vista paesaggistico è  caratterizzata dai rilievi collinari dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea, uno dei principali anfiteatri italiani, dai quali si distingue per avere come elemento di forza la sponda del catino (la collina in particolare) invece del bacino lacustre contenuto nel catino, come nel caso dei laghi Maggiore e Garda.

L’anfiteatro che si sviluppa a scavalco tra il Canavese e il Bielles è composto da diversi insiemi geologico-paesistici: le colline, la pianura eporediese, gli affioramenti rocciosi della pianura, i terreni alluvionali posti all’esterno del catino morenico.

I principali settori della cerchia morenica,  distinguibili per specifiche caratteristiche naturali ed antropiche sono tre:
-    il settore laterale orografico sinistro denominato Serra d’Ivrea (comprendente la Serra di Ivrea, dal Comune di Andrate al Lago di Viverone);
-    il settore frontale (dal lago di Viverone all’incisione del Torrente Chiusella) distinto in Morena Frontale Est e Morena Frontale Ovest rispetto al taglio della Dora Baltea in prossimità del Comune di Mazzè);
-    il settore laterale orografico destro denominato Morena della Valchiusella (in quanto sponda sinistra della parte inferiore di questo solco vallivo).

Il primo caratterizzato dalla ripida bastionata boscata della Serra, una linea retta in direzione nord-ovest; gli altri caratterizzati da profili più irregolari e variamente frammentati. insieme permettono di leggere la continuità circolare del sistema morenico. Nella parte nord-orientale dell’Anfiteatro, precisamente a nord della città di Ivrea, si trovano le colline rocciose, uno dei rari affioramenti rocciosi di granulite basica a livello mondiale. Gli archi morenici tra Romano Canavese e Strambino, Azeglio e Albiano, e il Montebuono a Borgofranco d’Ivrea si collocano invece come elementi puntuali e non più continui all’interno della pianura eporediese.
La pianura interna, costituita da depositi alluvionali antichi e recenti, è solcata in posizione frontale (direzione nord-sud) dal fiume Dora Baltea e in posizione laterale (in direzione ovest-est) dal fiume Chiusella: risulta pertanto suddivisa nelle rispettive aree della destra e sinistra orografica nonché distinta dagli affioramenti rocciosi in una porzione a nord dalle caratteristiche paesistiche tipiche dei fondovalle stretti e una porzione a sud con le caratteristiche tipiche della pianura agricola meccanizzata. L’elemento che caratterizza fortemente gli altri anfiteatri italiani – ossia il bacino lacustre contenuto nel catino morenico -  è qui presente solo sotto forma di “tracce”, mentre acquista maggiore rilevanza il disegno dell’intera struttura e delle “sponde”

I rilievi montani

A nord del sistema emergono, rispettivamente sul lato destro guardando l’imbocco della Valle d’Aosta, il sistema del Mombarone/Monte Torretta, con sullo sfondo i monti “biellesi” (Camino e Mucrone) e sul lato sinistro  il Monte Gregorio e la Cavallaria, con la sua caratteristica sella che introduce, in secondo piano, alla Bella Addormentata.

La cresta della Serra

Il profilo degradante della “morena laterale sinistra” (orografica) che si origina  a quota 900 m. s.l.m. dalle pendici del Mombarone e si perde nei rilievi che racchiudono il lago di Viverone, all’incirca a quota 300 m. s.l.m., accompagna con una linea retta, concludendola, la visuale sul lato nord ovest.

Il profilo delle colline moreniche

Il fronte della morena  verso ovest sud ovest si presenta più irregolare, con una ripetizione di pendii boscati definiti da profili più frammentati che permettono comunque di leggere la continuità circolare del sistema morenico, che si conclude innestandosi sulle propaggini pedemontane che introducono la Valchiusella.

I centri abitati di collina

Dalla ripida bastionata boscata della Serra si affacciano i centri abitati in posizione più elevata: Andrate (c.a. 800 m.s.l.m), Chiaverano, Burolo, Piverone (350 m. s.l.m).
Sui rilievi morenici del sistema frontale e laterale destro si incontrano i nuclei di Albiano, (solo parzialmente in posizione elevata) e Azeglio, “presidiati” dai relativi castelli, Settimo Rottaro, Caravino, ed in seconda battuta Scarmagno e San Martino.

I nuclei e gli edifici isolati in posizione dominante 

In posizione privilegiata, sul crinale della morena frontale nel punto di interruzione creato dall’alveo della Dora Baltea in uscita dall’anfiteatro morenico, il castello di Masino a quota 300 m. s.l.m., si protende sulla pianura dall’abitato dell’omonimo borgo, sovrastante Caravino.
Sul versante della Serra si staglia il campanile romanico di San Martino (quota 400 m. s.l.m.) dell’antico abitato di Perno (Bollengo) comunemente detto il Ciucarun, mentre dal crinale emerge la torre delle telecomunicazioni di regione Broglina  a quota 550 m. s.l.m.; più in basso, sull’abitato di Bollengo, si erge il Castello vescovile.
Infine il Castello di Montalto 340 m. s.l.m. sugli affioramenti dioritici che racchiudono a nord l’abitato di Ivrea.
Dalla morena destra si affaccia la Chiesa di Brosso, situata a quota 790 m. su di un balcone panoramico sull’imbocco della Valle d’Aosta; in secondo piano verso sud est, verso l’alto Canavese, la chiesa ed il pianoro di Santa Elisabetta, si affaccia da quota 1200 m. s.l.m. sui nuclei abitati della Comunità montana Valle Sacra, sopra Castellamonte.

La pianura agricola

La pianura, per caratteristiche morfologiche, vegetazionali, antropiche e storico culturali che possiede, si configura come omogenea dal punto di vista paesistico. Permangono i segni di antiche strade e centuriazioni (centuratio Eporediae), trovandosi sul tracciato della via imperiale per Eporedia. La copertura del suolo è essenzialmente costituita da seminativi.
L’opera umana nel corso dei secoli ha disegnato il paesaggio agricolo, che si sovrappone al territorio con una geometria regolare costituita da campi, filari, canali, strade e cascine, intervallata da centri abitati. L’andamento dei canali e fossi irrigui, che separano gli appezzamenti, è generalmente intuibile dall’andamento delle piantumazioni o dall’addensarsi della vegetazione. Le aree boscate rappresentano elementi di valore paesistico per il grado di naturalità del bosco ripariale  e di interruzione del sistema agrario con i centri abitati.
Le infrastrutture stradali più importanti (l’autostrada TO - AO,  la bretella autostradale Santhià - Ivrea e la SS26) connotano significativamente la pianura interrompendo la continuità delle aree di pianura e “segnando” il sistema collinare in corrispondenza dei varchi del Sapel da Mur (Azeglio) e Pietragrossa  (Scarmagno).
Un altro elemento di interruzione nel paesaggio, dominante nella piana agricola e’ il fiume Dora che scorre da nord a sud.
Si nota inoltre la presenza di numerose cave di ghiaia, in particolare a cavallo del Fiume Dora e nella piana di Palazzo Canavese, che assumono spesso la funzione di elementi dominanti nel paesaggio. Molte di esse sono ancora sfruttate, altre sono  abbandonate; raramente si tratta di zone sottoposte a progetti di recupero ambientale e quando questo avviene le zone di scavo divengono spesso piccoli specchi d’acqua  artificiali.
Gli elementi di maggior interesse storico-culturale sono costituiti dalle cascine, che testimoniano il passato sfruttamento agricolo del territorio e rappresentano il tipico modello insediativo nella realtà locale.

I laghi


Lago di Viverone

ll Lago di Viverone (Lagh ëd Vivron in piemontese) è il terzo lago più grande della Regione Piemonte, situato nella parte meridionale della Provincia di Biella e confinante inoltre con la Provincia di Torino, in Italia.
È un lago di origine glaciale, formatosi durante l'era quaternaria (così come i tanti laghi a ridosso delle Alpi), provvisto di immissari ed emissari sotterranei.
Oltre che importante risorsa ittica e turistica, il lago di Viverone é un importante sito archeologico di reperti preistorici dell'Età del Bronzo. Nel 2005 è stato riconosciuto sito di interesse comunitario (codice: IT1110020).

Lago di Candia
Il Lago di Candia, sito nel comune di Candia Canavese nel Canavese, ad una trentina di chilometri da Torino, è l’ultimo bacino lacustre con elevata naturalità della Pianura Padana piemontese, prima della barriera montuosa rappresentata dalle Alpi Occidentali.
Questa condizione ne fa un’area umida particolarmente importante per gli uccelli, soprattutto durante i periodi migratori e nei mesi invernali.
Dal 1995, il lago e il territorio circostante sono protetti come parco naturale di interesse provinciale e per tale motivo vige il divieto di caccia. La pesca è consentita solo per alcune specie e solo se muniti di regolare autorizzazione. Il Parco naturale di interesse provinciale Lago di Candia è stato il primo Parco provinciale italiano ad essere stato istituito; occupa una superficie di 336,17 ha nella provincia di Torino.[1]
A questa tutela si è aggiunto, nel 2009 il riconoscimento del "Lago di Candia" come sito di interesse comunitario (codice: IT1110036).

Lago Sirio
Situato al confine tra i comuni di Ivrea e Chiaverano, anticamente conosciuto come San Giuseppe dal convento omonimo presente su un'altura che lo domina, è il più grande dei cinque; con una superficie di circa 0,3 chilometri quadrati ed una profondità di quasi 45 metri è l'unico ad essere alimentato da una sorgente. Circondato da un ontaneto, costituisce un habitat ideale per numerose specie vegetali e animali tipiche degli ambienti acquatici come germani reali, gallinelle d'acqua, rane e raganelle.

Lago Pistono
E’ situato in una conca scavata dal ritiro di un ghiacciaio del Pleistocene, il quale ha dato origine anche ai restanti quattro laghi della zona (Sirio, Nero, Campagna e San Michele). Oggi il lago Pistono è alimentato dal Rio Montesino, mentre sull'estremo lato ovest si trova un canale artificiale, atto ad alimentare quello che un tempo era il mulino del paese. Il flusso d'acqua uscente è regolato da una piccola diga. L'intero lago è circondato da un itinerario immerso nella natura. Sul lato nord in cima alla collina svetta il Castello di Montalto Dora, che si riflette sullo specchio d'acqua sottostante.

Lago Nero
Il Lago Nero è immerso nei boschi verdeggianti del comune di Montalto Dora (TO).
Il suo nome deriva dal colore scuro dell'acqua causato dalla fitta vegetazione che lo circonda, è alimentato soprattutto dalla pioggia.
E’ il più solitario ed incontaminato dei laghi dell’Eporediese che incastonato tra ripide colline ricche di boschi, rievoca immagini di battaglie ed imboscate.
 Il Lago Nero è alimentato dall'acqua piovana e da due rivoli provenienti dalla parte Nord; l'emissario si trova invece verso Ovest nella direzione di Borgofranco.
Dalle acque del lago emerge un'isoletta, esattamente nella zona a sud dove si specchia il Mombarone e la sua sagoma vi si riflette imperiosa. Questo specchio d'acqua è inserito in uno scenario agreste coronato da una vegetazione molto fitta che rende particolarmente cupo il colore delle acque, da cui il nome.

Lago San Michele
E' il più piccolo dei Cinque Laghi della Serra di Ivrea ed occupa una depressione rocciosa di origine glaciale. Dalle sue sponde si innalza un panoramico promontorio dal quale si raggiunge la chiesetta dei Tre Re risalente all'XI secolo.

I castelli

Il circuito dei castelli del Canavese è costituito da un insieme di antichi manieri e castelli -testimonianza di un antico passato spesso contraddistinto da sommosse popolari e guerre civili - distribuiti su una vasta area del territorio del Canavese, in Piemonte.[1]
Molti di essi sono adibiti - in quanto dimore storiche - a poli museali (a gestione sia pubblica sia privata); alcuni sono sede di uffici pubblici, in particolare di sedi municipali; altri sono destinati al settore della ricettività per un turismo d'èlite in una zona ricca di risorse tanto sotto l'aspetto paesaggistico (serra morenica di Ivrea, lago di Viverone) quanto riguardo quelli naturalistico-faunistico (birdwatching e caccia) ed eno-gastronomico (erbaluce di Caluso e cucina piemontese).
I più conosciuti sono il castello di Ivrea, il castello ducale di Agliè e il castello di Masino

Castello di Ivrea
Situato nella parte alta della città, il castello di Ivrea - conosciuto anche come castello dalle rosse torri - è imponente per struttura, e fu costruito per scopi di difesa nel 1358. Committente ne fu il Conte Verde Amedeo VI di Savoia. Il complesso in cui fu inserito comprendeva le sedi principali del potere politico e religioso di stampo medioevale: il Capitolo vescovile, il Comune e la Cattedrale. La torre del mastio fu gravemente danneggiata nel 1676 (e da allora è rimasta mozza) da un fulmine durante un furioso temporale che si abbatté sulla città provocando all'interno del castello un'esplosione e la conseguente morte di diverse persone, oltre che danni alla fortezza.
Sensibilmente modificato negli anni successivi, è stato usato dal 1750 al 1970 come carcere. Spettacolari per pulizia architettonica sono, ben visibili, i camminamenti di ronda che denotano il suo uso difensivo. Lo stemma di casa Savoia sormonta una bifora ad archi trilobati.

Castello di Masino
Il castello di Masino, a Caravino, fu la residenza principale dei conti Valperga, antica famiglia del Canavese, e fino al Rinascimento era difeso da alte mura e imponenti torri di guardia poi abbattute per far posto a monumentali e splendidi giardini di fattezze romantiche e tipiche dell'Italia aristocratica. L'intero edificio è letteralmente ricoperto da affreschi, mobili di raffinatissima fattura e sede d'un museo di carrozze settecentesche davvero straordinario. Attualmente il castello è gestito dal Fondo per l'Ambiente Italiano.

Castello di Agliè

Il Castello ducale di Agliè è un'elegante ed imponente costruzione situata nel comune di Agliè, in provincia di Torino. L'edificazione del suo nucleo centrale, del quale sono tuttora identificabili le tracce, è iniziata nel XII secolo per conto della famiglia comitale dei San Martino, originari del Canavese. Nel 1939 lo Stato acquistò dalla Casa Reale il castello che venne adibito a museo. Negli anni ottanta è stato oggetto di un ulteriore delicato restauro. Attualmente è stato sottoposto ad importanti lavori di consolidamento statico e restauro che impedivano la visita a buona parte delle sale.

Castello di Mazzè

Il castello di Mazzè, adibito a polo museale privato, è stato edificato a breve distanza dal corso della Dora Baltea e sopraelevato rispetto alla sottostante pianura padana in una zona di interesse faunistico, sui resti di un antico fortilizio di epoca romana subendo nel corso del tempo numerose integrazioni e rimaneggiamenti. I maggiori, in chiave di architettura di stile gotico, sono dovuto all'opera dell'architetto Velati Bellini e risalgono al XIX secolo. I percorsi di visita alla dimora storica sono tre e includono il Castello Grande (dodici stanze), il museo sotterraneo (che presenta le prigioni, strumenti di tortura e una cappella mortuaria) e la contigua Oasi del Bosco Parco.

Castello di Pavone

Il castello di Pavone Canavese (sede di rievocazioni storiche), adibito a ricettività e centro congressi, era in origine una fortezza posta in mezzo a diversi ricetti in una zona collinare sotto la giurisdizione del vescovado d'Ivrea. Fu edificato fra il IX secolo e l'XI secolo. Anche in questo, come in altri manieri del Canavese, ad essere evocata maggiormente è la figura di Arduino re dell'Italia medioevale. In questo caso, il nome del sovrano è lo stesso attribuito al soffitto a cassettoni che decora gli interni. Vi sono ritratti personaggi e figure di animali. Interna al castello, a lato della corte, è una piccola chiesa coeva dell'edificazione originaria.

Castello di Montalto Dora

Il Castello di Montalto Dora che si erge a quota 405 metri sul Monte Crovero a Montalto Dora, risale alla metà del XII secolo; ha subito nei secoli molteplici distruzioni, riedificazioni e ristrutturazioni, sino ad assumere, nel 1890, con il restauro progettato da Alfredo d'Andrade, l'aspetto che, grosso modo, ha conservato sino ad oggi. Oggi di proprietà privata, il castello è parte integrante del borgo di epoca romana su cui sorge ed ha pianta quadrata irregolare con una doppia cinta. Un'alta torre domina la parte interna intorno al mastio, l'annessa cappella, gli ambienti in parte visitabili e il camminamento di guardia. Nell'antichità funzionava da fortezza a guardia della piana lacustre di Ivrea e della strada che conduce in Valle d'Aosta.

Castello di Montestrutto

Settimo Vittone è un paese di 1600 abitanti adagiato sulle pendici delle prealpi alle porte della Valle d'Aosta a due passi dall'Europa. L'abitato di Settimo Vittone è costituito dal capoluogo e dalle sue borgate Cesnola, Cornaley, Montestrutto e Torredaniele. L'ultima borgata del fondovalle è Montestrutto, anch'esso antico Comune. Le sue case si appoggiano allo sperone di roccia che dirupa sulla Dora quasi ostruendo la viabilità (da ciò il nome primitivo di Mons Obstructus). Sulla sua sommità si erge un castello, rifatto in stile neogotico. Romanica è invece la pieve di San Giacomo, visibile subito sotto.

Castello di Roppolo

A circa 2 km dal lago, di Viverone, dalla balconata esterna ci si può affacciare sull’intero bellissimo panorama della conca lacustre, ben visibile oltre i pittoreschi tetti rossi dell’abitato. Del Castello si fa menzione già nel X secolo in un diploma di Ottone I (936). La base dell’attuale torre fu la prima fortificazione costruita, originariamente in legno, con le fondamenta in masselli di granito, intorno alla quale si sviluppò più tardi il castello, nel XIII secolo, dopo che i Bichieri di Vercelli ebbero la meglio sui conti Cavaglià decaduti. Il castello rimase per circa due secoli proprietà dei Bichieri, sino al suo passaggio nelle mani di casa Savoia, avvenuto per la prima volta nel 1407, poi dal 1441 passò ai Valperga di Masino, che ne mantennero il possesso fino allo scoppio della Rivoluzione Francese. Nella terza stanza della torre, nel 1800 si aprì un muro parietale e in una intercapedine venne alla luce una armatura completa e i resti umani di Bernardo di Mazzè, guerriero murato vivo da Ludovico, signore di Roppolo. Il castello è stato rimaneggiato fino al secolo scorso e attualmente ospita nel suo interno l’Enoteca Regionale della Serra, unica nel nord del Piemonte, fondata nel 1981 con annesso ristorante.

Le chiese



La chiesa di Santo Stefano in Sessano a Chiaverano

La chiesetta romanica dedicata a Santo Stefano ("Sancti Stephani de Sexano") nel comune di Chiaverano sorge isolata ove un tempo si trovava l'abitato di Sessano, in una località alquanto suggestiva con grandi massi dioritici che affiorano nel suolo e, sullo sfondo, i boschi che ricoprono le pendici dell'Anfiteatro morenico di Ivrea. Il comune di Chiaverano, oltre al recupero dell'antico edificio di culto, ha finanziato la sistemazione dell'area circostante, ricavandovi anche un giardino di erbe officinali[1] Costruita nel XI secolo, la chiesa rappresentava il luogo di culto per gli abitanti dell'antico abitato di Sessano che si spopolò già nel XIII secolo[2]. Vista dalla facciata la chiesa mostra chiaramente la sua struttura architettonica con tre corpi di fabbrica: la navata unica con il tetto a capriate lignee, il campanile attraverso cui si accede alla chiesa e, posta sul lato meridionale, l'aula rettangolare della sacrestia aggiunta in epoca relativamente recente (sicuramente dopo il 1782[3] La soluzione del clocher porche, vale a dire del campanile posto in facciata ed attraversato da una sorta di androne che dà accesso all’interno della chiesa, è poco diffusa in Italia ma trova molteplici esempi nell'architettura romanica canavesana (troviamo soluzioni analoghe a Settimo Vittone, a Bollengo, a Pecco e Lugnacco). Le mura sono costruite in pietra locale, rozzamente lavorata, con pochi inserti in mattoni. Assai suggestiva, dall'esterno, è la veduta dell'abside: quattro lesene dividono il semicilindro in tre campiture sulle quali si aprono altrettante monofore a doppia strombatura; più in alto è posta una serie di nicchiette cieche, quattro per ogni campitura, sormontate da archetti pensili in laterizio. Tra le nicchie e la copertura semiconica dell'abside (realizzata in "lose", sottili lastre di pietra) corre una cornice di mattoni posti a denti di sega. All'interno della chiesa si nota come la struttura sia composta da tre campate, l'ultima delle quali in corrispondenza del presbiterio. La navata (larga 6 metri e lunga 15) è coperta da un tetto a capriate lignee, mentre il presbiterio che si apre oltrepassando l'arco trionfale, è sormontato da una volta a crociera rettangolare. Le pareti semicircolari dell'abside ospitano quanto resta degli antichi affreschi romanici.

La chiesa di San Vitale a Roppolo
L’abitato della frazione di San Vitale è sorto forse dopo la scomparsa dell’antico villaggio di Pavarano. Nella chiesa parrocchiale è conservato il teschio del santo ravennate venerato dagli abitanti di San Germano Vercellese, che nel 1613, colpiti da terribili guerre, si votarono lui promettendo una processione annuale a Roppolo se fossero stati liberati, cosa che fecero: il teschio del santo fu rubato col busto d’argento nel 1747 e fu ritrovato quasi miracolosamente il giorno 26 dicembre, festa del compatrono di Roppolo, Santo Stefano.

La chiesa di San Grato a Zimone
Posta sul crinale morenico che fa da sfondo al paese di Zimone la chiesa, che risale al XII secolo, pur essendo un monumento nazionale versa in stato di grave degrado. Dalla radura antistante si gode un suggestivo panorama del paese.

Il “Gesiun” di Piverone
“Gesiun” è chiamato dagli abitanti del luogo il rudere della chiesa dedicata a S. Pietro, che si trova in località Sugliaco, al confine tra i comuni di Piverone e di Zimone: è in stile romanico primitivo e risale, probabilmente, al IX secolo ed è un esempio unico in tutto il Piemonte.
Di robusta costruzione in pietrame, ha due colonnine con capitelli cubici., che reggono le arcate del piccolo presbiterio, costituite da due rozze stele di pietra, forse una volta coperte da un rivestimento che le rendeva cilindriche.
La zona del presbiterio risulta così isolata dai tre archetti, le due colonne e un basso muretto laterale: questa soluzione architettonica richiama, secondo qualche studioso, alcune chiese longobarde e bizantine.
Notevole è la parte del presbiterio, di lati 3,80 x 1 m, coperta da una volta a vela, con apertura rettangolare nel mezzo, attraverso cui con una scala a pioli, si poteva passare per salire al campaniletto, munito di quattro finestre coronate da un piccolo cornicione ad archetti semicircolari in cotto.
Le dimensioni della navata sono piccolissime, non

I segni della preistoria



La “Pera Cunca”

E’ un masso coppellato che presenta sulla sua superficie degli incavi di diversa grandezza (coppelle). E’ situato nel territorio comunale di Borgomasino in località Lusenta (da Lug, dio del sole dei Celti o da lucus, bosco sacro dei romani), tra un bosco di querce e di castagni, lungo la dorsale sud della collina su cui sorge il Castello di Masino. Nota da tempo per le sue enigmatiche incisioni create dalla mano dell’uomo, fu definita masso-altare sin dalla sua scoperta da parte del prof. P. Baroncelli nel 1925.
Il masso ha una forma che ricorda vagamente un cilindro, con un diametro di circa due metri ed un’altezza media di 60 cm. La parte interna è dominata da una grossa cavità di forma ellittica nella zona centrale avente l’asse maggiore lungo circa cm 90. Le coppelle sono poste nelle parti est-sud-ovest del masso, e sotto il punto di vista ergonomico sono le aree di più facile accesso per chi intendesse fare “qualcosa” sulla superficie del masso o sulla vasca centrale. Le coppelle si trovano ad altezze diverse ed eventuali liquidi proseguono sempre nella stessa direzione. Le incisioni presenti sulla Pera Cunca per le loro dimensioni e forma erano correlate a una precisa funzione rituale.
Recenti teorie sostengono che la Pera Cunca, fosse un masso-altare utilizzato dai Celti per celebrare la festa di Imbloc, ma anche una perfetta macchina astronomica, che permetteva di rilevare la posizione della levata eliaca della stella Capella (La Capra), della costellazione di Auriga, la direzione dell'orbita solare e, forse, anche un calendario.


La Cava del Purcarel
E’ una depressione naturale di forma circolare, di circa 60 metri di diametro, vicina al Lago di Bertignano periodicamente invasa da acque stagnanti i cui mucchi di sassi, sconvolti in passato da ruspe per l’estrazione di ghiaia, insieme a frammenti di vasellame testimoniano un insediamento palafitticolo più o meno stabile.
Il sito risulta di interesse archeologico. Fu sede di un presidio preistorico-palafitticolo, costituito da capanne costruite su dodici grandi ammassi di ciottoli, tuttora presenti. Scavi eseguiti sul sito, infatti, portarono alla luce materiali ceramici riferibili a due differenti epoche, il Neolitico e l'Età del Bronzo

Il Roc della Regina
Si tratta di un grande masso erratico lungo 720 m e largo 3,25 alto 1,25, nel quale è incavata la forma di un sarcofago, di misura regolare (1,80 x 0,75 x 0,45m) intorno al quale sono visibili sette coppelle rotonde di varia misura, dove si crede che la Regina (la Madonna) ponesse ditale, forbici e filo, che riempite d’acqua piovana curavano alcune infermità delle donne che vi si bagnavano.
Il rimando è ad antichissimi culti pagani solo in seguito cristianizzati, che indicano la roccia come luogo di sepoltura di una “regina barbara”.
Tali elementi sono forse da ricondurre alle usanze religiose, poi cristianizzate, delle genti celtiche e al culto delle matres, che avrebbe dato anche origine alla leggenda di una regina barbara lì sepolta

Il Lago di Bertignano
E’ un piccolo lago sulla Serra, a Nord di Viverone, poco oltre il paese omonimo, in una zona cosparsa di tralicci elettrici da esercitazione, eredità della centrale idroelettrica che funzionava all’inizio del ’900.
Lo specchio d’acqua è un importante sito archeologico: qui furono rinvenute due piroghe monossidi, cioè ricavate scavando un tronco d’albero di castagno e aventi ciascuna due remi. La prima fu trovata nel 1912 ed è lunga 4,10 m ed alta 30 cm e larga 50 cm. La seconda fu ritrovata nel 1979 ma fu tolta dal fango solamente nel 1982, questa è lunga 3,75 m, larga 90 cm ed alta 60 cm.
Rispettivamente datate 250 d.C. e 1450 a.C., che rimandano all’esistenza di un insediamento palafitticolo più o meno stabile, confermato dalla presenza di frammenti di vasellame e ceramica.

Le palafitte del Lago di Viverone
Il Lago di Viverone è un importante sito archeologico: sul suo fondale sono stati rinvenuti resti di insediamenti palafitticoli dell'età del bronzo (1300-900 a.c.),
I villaggi scoperti, situati nella parte nord- occidentale del bacino lacustre e risalenti all'età del bronzo medio e finale, sono due: S. Antonio ed Emissario. Il primo è composto da alcune centinaia di pali, mentre il secondo, decisamente più grande, costituito da alcune migliaia di pali, occupava presumibilmente un'area di 5000 metri quadrati. Tale insediamento, con una popolazione stimata intorno ai 1000 abitanti, può a buon diritto essere considerato alla stregua di una grande città del II millennio a.C.
Il Lago, compreso tra le province di Biella, Torino e Vercelli, si estende su una superficie di 56 Kmq, ha un perimetro di 10 chilometri e una profondità media di 20 metri che in alcuni tratti raggiunge gli 80, nel 2005 è stato riconosciuto sito di interesse comunitario (codice: IT1110020)
Anatre, germani reali, folaghe, svassi e gabbiani formano la maggior parte della fauna; la pesca è abbondante di coregoni, persici, carpe, tinche, lucci e pesci gatto.
Una linea di navigazione unisce i porti lacuali del Lido, Masseria, Comuna, Anzasco ed Azeglio
Viverone è un importante fulcro per escursioni nel Biellese, Vercellese, Canavese e Valle d'Aosta, ma soprattutto passaggio obbligato sulla via Francigena.

 

LE TORRI E LE FORTIFICAZIONI


La Torre di Santo Stefano sul colle di Montaldo
La torre di San Lorenzo come la si vere ora è un rifacimento settecentesco, su resti di una torre medievale d'avvistamento, forse pertinente ad una fortificazione dello scomparso sito di San Lorenzo di Pavarano. che ha origini ancora più lontane, riconducibili ai Longobardi. Eretta agli estremi del territorio comunale di Salussola, è ubicata su un'altura boscosa della zona collinare, al confine con il Comune di Roppolo.
Teatro di lotte cruente sulla via che collegava Biellese, Vercellese e Canavese, la torre fu per secoli uno dei principali posti di vedetta nelle propaggini meridionali della Serra.
Fu usata anche durante l'ultima guerra, è oggi un punto segnaletico sul territorio dell'Esercito Italiano.


Il Monte Orsetto…
E’ un rilievo collinare della parte orientale della Serra Morenica di Ivrea, precisamente nella zona boschiva al confine tra il Lago di Bertignano, presso Viverone e Peverano di Roppolo, in Provincia di Biella
E’ il massimo rilievo della Serra meridionale (452 m s.l.m.). Sfuggito ad una completa indagine scientifica, il sito del Monte Orsetto, di estremo interesse archeologico, è stato oggetto negli ultimi decenni di sondaggi e scavi occasionali, che hanno portato alla luce i resti di un imponente recinto, il cosiddetto "castelliere", articolato su più livelli dalle pendici alla sommità.
La denominazione di "castelliere" data alle strutture messe in evidenza (valli, resti di capanne) deriva dalla presunta analogia con alcuni castellieri celtici europei, insediamenti fortificati posti in posizione strategica sulla sommità di dossi e colli. In realtà, allo stato attuale delle conoscenze, non è possibile suffragare con dati certi l'ipotesi di una attribuzione delle strutture all'età del Ferro: i materiali rinvenuti attestano solo una sicura frequentazione del sito in età medievale.
Salendo a piedi sul monte Orsetto è facilmente distinguibile il doppio vallo che cinge tre quarti della sommità costituita da un terrapieno spianato - sul quale spiccano un grande maso erratico ed una pietra “magica” incassata nel terreno - probabilmente a quei tempi circondato da una palizzata: sono le evidenti tracce dell’antico castelliere forse di origine preromana e successivamente forse caposaldo delle Chiuse longobardiche.

Il Vallo Longobardo
Si ritiene che sull’altura dell’Anfiteatro Morenico, nel tratto che va dalla Dora Baltea sino sulla cresta della Serra, dovesse correre un grande vallo difensivo, facente parte delle cosiddette “Chiuse Longobarde”, eretto da Desiderio al fine di chiudere la via per la Pianura Padana agli eserciti di Carlo Magno provenienti dalle valli di Aosta e Susa. Esso è documentato dal “Chronicon Imaginis Mundi ”, scritto nel 1300 da Fra’ Jacopo d’Acqui, secondo cui la battaglia decisiva avvenne proprio in prossimità della Serra e le difese erano formate da muri a secco, costituiti da ‘pietre grandi e piccole, ammucchiate a maceria’; inoltre la scoperta di alcune tombe di guerrieri testimonia la presenza longobarda a oriente del lago. Seguendone i resti più o meno cospicui se ne deduce il percorso di una trentina di chilometri: da Zimone passava sul Monte Orsetto e nei pressi di S.Elisabetta, costituiva le pietre della Maserassa, chiudeva il valico del Sapel da Mur e, toccando il Bric delle Barricate, giungeva alla Dora, che fino ad Ivrea non aveva alcun ponte.

 

MUSEI A CIELO APERTO


MAAM
Inaugurato il 29 settembre 2001, il MAAM  (Museo a cielo aperto dell’architettura moderna) di Ivrea si sviluppa lungo un percorso di circa 2 km che interessa via Jervis e le aree contigue su cui sorgono gli edifici più rappresentativi della cultura olivettiana. Gli oggetti della collezione sono gli edifici dell'architettura moderna e razionalista. Lungo i percorsi pedonali pubblici che collegano gli edifici sono collocate sette stazioni tematiche informative, in una successione tale da costruire un possibile itinerario di visita e caratterizzate da una forte integrazione con il tessuto urbano. I temi illustrati dalle stazioni riguardano le vicende inerenti l'impegno della Olivetti nel campo dell'architettura, dell'urbanistica, del disegno industriale e della grafica pubblicitaria e i contesti culturali in cui queste vicende si collocano. Cuore del percorso è il centro di informazione e accoglienza, dove è possibile approfondire le tematiche sviluppate durante l'itinerario di visita consultando supporti cartacei (è allestita una piccola biblioteca destinata a diventare centro di documentazione delle architetture di Ivrea), fotografici e filmati

MACAM
Il M.A.C.A.M. (Museo d'Arte Contemporanea all'Aperto di Maglione)è un museo a cielo aperto, una proposta di opere d'arte contemporanea di diverse tendenze. Non si paga il biglietto d’ingresso per visitarlo. Non esistono orari di apertura o chiusura. Le opere sono esposte sulle case e negli spazi del centro abitato.
Il M.A.C.A.M., acronimo di Museo d’Arte Contemporanea all’Aperto di Maglione, nacque nel 1985 dall’iniziativa di un privato cittadino Maurizio Corgnati, scrittore, regista, "filosofo di campagna" ma soprattutto intenditore di cucina, di vini e d’arte, abitante di Maglione, il paese in cui è sito il museo, anzi, il paese-museo, un piccolo borgo rurale posto sulle colline moreniche del basso Canavese, a 20 Km da Ivrea e 45 da Torino.
La collezione annovera oltre 150 opere tra dipinti ad affresco e acrilico, sculture e installazioni varie,  collocate all'aperto sui muri e nelle piazze.
La partecipazione degli artisti avviene per inviti, e ogni anno a metà settembre si svolge una manifestazione durante la quale viene realizzata la maggior parte dei lavori.
Gli artisti presenti nel museo sono di nazionalità italiana, tedesca, olandese, ceca, giapponese, cinese, irlandese, scozzese, uruguaiana, brasiliana, americana.
Tra gli artisti di rilievo: Luca Alinari, Gianni Asdrubali, Luciano Bartolini, Simon Benetton, Roberto Caracciolo, Luigi Carboni, Alik Cavaliere Giancarlo Cazzaniga, Dadamaino, Sergio Dangelo, Lucio Del Pezzo, Pietro Dorazio, Gareth Fisher, Piero e Silvano Gilardi, Giorgio Griffa, Franco Guerzoni, Eduard Habicher, Chin Hsiao, Carlo Lorenzetti, Teodosio Magnoni, Luigi Mainolfi, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Nils-Udo, Giò Pomodoro, Marco Porta, Concetto Pozzati, Sergio Rigalzi, Salvo, Tino Stefanoni, Emilio Tadini, Armando Testa, Antonio Trotta, Walter Valentini, Grazia Varisco, Gilberto Zorio.

 

ENOGASTRONOMIA


Il Canavese offre agli appassionati un ricco e genuino paniere di prodotti tipici: formaggi, carni e salumi, dolci e frutta.


Formaggi

Il Salignun, ha una pasta di consistenza variabile, da morbida e spalmabile a friabile, un misto tra un formaggio fresco ed una ricotta. Prodotto partendo da forme di tometto conservate per una settimana, vengono poi sbriciolate e gli si aggiunge peperoncino e cumino. La maturazione del prodotto dura da tre a quindici giorni. Si degusta spalmandolo sulle "miasse", sottili e croccanti rettangoli di farina di granoturco che vengono cotti su piastre arroventate dal fuoco del camino.

Il tomino, formaggio fresco di origini antichissime è molto apprezzato per il suo sapore delicato ed inconfondibile. Si presenta in due varietà, asciutto e fresco. Si tratta di un formaggio fresco a coagulazione acido-presamica, a base di latte vaccino, che viene lavorato secondo tradizione sottoponendo il latte vaccino ad un processo di termizzazione, in seguito al quale viene aggiunto il caglio. Dopo un riposo complessivo di ventiquattro ore, il formaggio viene posto in cella.


Carni e Salumi

I capunet, speciali involtini di foglie di cavolo con all'interno un impasto di carni e verdure.

Le cipolle ripiene di un tritato in cui si distingue il sapore dell'uva sultanina.

Il salame di patate, di secolare tradizione e dal sapore unico, viene preparato con scarti del maiale, patate e spezie.

Il salame crudo viene preparato con antiche ricette utilizzando carni magre suine selezionate e pancette sgrassate accuratamente. Le carni sono lavorate a macina grossa e sono insaccate in budella naturali.

Il cotechino viene preparato con carne mista di puro suino, guanciali sgrassati, spezie ed aromi vengono aggiunti secondo vecchie ricette. Per cucinare il cotechino sono necessari 90 minuti di cottura.

La salsiccia è un prodotto delicato ed esaltato dalla genuinità delle carni del territorio. L'originale e caratteristica fragranza delle carni si mantiene grazie alla tempestiva insaccatura.

Il salame cotto, il lardo e la pancetta, anche questi prodotti sono preparati artigianalmente con carni autoctone e con l'aggiunta di spezie ed aromi naturali secondo le antiche ricette.

Il Fricandò, uno spezzatino di carne mista cotta con vino rosso e rosmarino.


Dolci
 
I Torcetti di Agliè, biscotti così speciali da far scomodare, a suo tempo, la Casa Reale di Savoia per accaparrarsi queste prelibatezze.

La Torta ‘900 di Ivrea affonda le sue radici alla fine dello scorso secolo quando Ottavio Bertinotti, pasticcere di Ivrea e fondatore del negozio, creò la ricetta di questa torta davvero speciale che riscosse immediatamente i favori di tutta la gente e dei più raffinati gourmet. Si racconta che il Signor Ottavio, geloso della propria invenzione, usasse allontanare chiunque durante la preparazione della deliziosa farcitura dal gusto delicato.

I Canestrelli di Borgofranco. Il nome Canestrello deriva, probabilmente, dai tipici recipienti di vimini intrecciati, detti appunto canestri, nei quali si deponevano i dolci dopo la cottura. E’ un dolce che risale all’epoca medievale, molto sottile, fragile e presenta forme irregolari dovute alla sua preparazione: si tratta di una cialda tonda color testa di moro a base di cioccolato.

E poi le paste di meliga, biscotti a base di burro e farina di mais; gli Eporediesi, biscotti morbidi al cacao; i Canavesani al rhum; i grappini, piccoli cioccolatini che contengono la grappa prodotta sulla Serra.


Zuppe

La zuppa di ajucche.
Le Ajucche sono piante erbacee spontanee, simili agli spinaci, che crescono negli alpeggi tra i 600 e i 2.000 metri di altitudine.
Le foglie vengono cucinate in vari modi, secondo le ricette delle varie località, della fantasia e del gusto personale di ciascuna cuoca. Si mangiano tritate nella minestra, cucinate come gli spinaci, in frittata ed in insalata. Possono essere utilizzate anche le radici che, lessate, vengono consumate in insalata.
Le origini e l’utilizzo del prodotto in oggetto si perdono nel tempo. Un piatto tipico del Canavese nord occidentale è la zuppa (“Supa d’Auiche”) che viene cucinata in primavera e viene ormai proposto nei menu di molti ristoranti della zona.

La tofeja
Antico piatto, che potrebbe stare in tavola come zuppa o minestra, ma in realtà è un piatto unico di carni di maiale stracotte o stufate insieme ai fagioli, nella caratteristica pentola di coccio a quattro manici, che si chiama appunto "tofeja", tipica della zona di Castellamonte.


Gli Ortaggi e la Frutta

Il cavolo verza
Questa varietà di cavolo è particolarmente ricca di fosforo, calcio e vitamina C, tanto che per secoli è stata considerata dalle popolazioni, che non disponevano di agrumi, la miglior fonte di approvvigionamento di vitamina C; contiene inoltre antiossidanti, betacarotene, clorofilla e vitamina E, ideali per contrastare l'invecchiamento delle cellule.
A Montalto Dora questo ortaggio vanta di grande considerazione, è infatti noto come il “Paese del Cavolo Verza”, cui è dedicata, peraltro, una sagra che si ripete ogni anno nel mese di novembre e che, con le sue degustazioni, riunisce gli abitanti di Montalto Dora e dei comuni limitrofi, oltre a curiosi provenienti da ogni parte d’Italia.
Sino ai primi anni '50, l'economia prevalentemente agricola di questo paese viveva in larga misura sulla produzione dei Cavoli Verza. In seguito, l’industrializzazione del Canavese fece sì che anche la popolazione di Montalto Dora si dedicasse ad attività industriali, piuttosto che agricole, perdendo parte di questo prezioso patrimonio. La Comunità Montaltese, però, non ha dimenticato il proprio passato e lo vuole far rivivere riappropriandosi della propria memoria storica: è proprio a questo scopo che ogni anno viene organizzata questa sagra.
I cavoli invernali di Montalto Dora erano conosciuti in tutto il Canavese per essere il non plus ultra quanto a qualità e sapore: erano l'ingrediente indispensabile per confezionare la migliore zuppa 'd pan e còj. I cavoli montaltesi erano ottimi, grazie alle loro foglie croccanti e frastagliate, per raccogliere dai fumanti fojòt (tegamini di coccio) la deliziosa bagna càuda. Insuperabili, perché consistenti alla cottura, per avvolgere l'impasto dei famosi caponèt canavesani nelle loro foglie saporite.

I Martin sec, piccole pere cotte con vino e zucchero.


I Vini

Il Carema
Questo vino, D.O.C. dal 1998, si produce, con uve del vitigno Nebbiolo, all'estremo lembo nord della provincia di Torino nel comune da cui prende il nome.
I vigneti della conca di Carema sono ubicati su terrazze scavate nella roccia delle pendici del Monte Maletto, tra i 350 ed i 700 metri sul livello del mare; il paesaggio è caratterizzato da pergole sostenute da pilastri a forma di tronco di cono, in pietra. Sono proprio le pietre dei pilastri che rilasciando nel corso della notte il calore accumulato durante il giorno offrono alla vite ottime condizioni climatiche per la coltivazione.
Il Carema ha un colore rosso volgente al granato, un profumo fine e caratteristico che ricorda la rosa macerata e un sapore morbido, vellutato e di corpo. L'invecchiamento deve essere di almeno 3 anni, di cui 2 in botti di legno.
Si accompagna ad arrosti, selvaggina, carni rosse, formaggi stagionati e anche considerato un "vino da caminetto" che si abbina bene, a fine pasto, a frutta secca e dolci a pasta secca.

Il Canavese
Il Canavese D.O.C. dal 1996, si produce in numerosi comuni in provincia di Torino e in alcuni comuni in provincia di Vercelli e Biella. La DOC Canavese riguarda i seguenti tipi: Bianco, Rosso, Rosato, Barbera e Nebbiolo.
Il Canavese Barbera è apprezzato con carni rosse, salumi e formaggi stagionati mentre, il Nebbiolo è ottimo con la cacciagione e formaggi a pasta dura; entrambi serviti a 12-14° in calici allungati per vini rossi giovani. Il Bianco è servito con primi piatti a base di pesce a 9-11° in calice svasato per vini bianchi giovani; il Rosso abbinato con carni rosse alla griglia, stracotti e salumi, servito a 12-14° in calici per vini rossi giovani; infine, il Rosato abbinato a primi piatti, come minestroni di verdure, pasta e fagioli, con formaggi vaccini non troppo stagionati e servito a 10-12° in calici ampi ed aperti.
Rossi abbinabili a piatti tradizionali, soprattutto secondi della cucina piemontese, bianco e rosato serviti come aperitivo e con piatti a base di pesce.

L’ Erbaluce di Caluso
L’Erbaluce di Caluso o Caluso ha ottenuto il riconoscimento della D.O.C.G. nel 2010.
E’ prodotto con uve del vitigno Erbaluce, coltivate in una ristretta zona viticola in provincia di Torino, di cui il comune di Caluso è l’epicentro e che si estende, scavalcando la Serra di Ivrea fino alle province di Biella e Vercelli.
Viene prodotto nelle seguenti tipologie:
-Erbaluce di Caluso o Caluso;
-Erbaluce di Caluso o Caluso “spumante” prodotta esclusivamente con metodo classico;
-Erbaluce di Caluso o Caluso “passito”;
La lavorazione del passito (Alladium di Ciek) inizia in vigna, dove vengono selezionati i migliori grappoli di uva Erbaluce, quelli più sani, con gli acini più radi e ben coloriti dal sole. Le uve sono fatte appassire in modo naturale secondo un’antica tradizione locale che prevede che i grappoli vengano appesi ad appositi supporti, con il risultato di aumentarne la aerazione e ostacolare gli attacchi di muffe e batteri nocivi, senza tuttavia impedire l’attecchimento della muffa nobile. A marzo si effettua la schiccatura dei grappoli, ovvero la separazione degli acini appassiti dal raspo, che viene effettuata a mano per consentire un’ulteriore controllo e selezione degli acini. Gli acini integri vengono pressati delicatamente in un piccolo torchio in legno, il mosto viene decantato a freddo e fatto fermentare grazie all’azione di lieviti selezionati. L’invecchiamento in piccole botti di rovere dura circa tre anni, cui fa seguito un affinamento in bottiglia della durata di circa sei mesi. Erbaluce 100% allevato a tendone Alcol:14% vol. Colore: Oro antico, Brillante Profumo: Avvolgente , di miele grezzo e limone candito , aromatico e muschiato Sapore: Dolce, fresco al palato. Struttura salda e di volume. Giustamente caldo, risulta non pesante ma vellutato in bocca, con una piacevole punta di freschezza finale.